L’imprenditore agricolo

Il codice civile, considerando «imprenditore» chiunque svolga un’attività creatrice di ricchezza, ha configurato tale anche l’agricoltore, ma ha conservato ad esso alcune facilitazioni (per l’ulteriore «rischio ambientale» cui è soggetto) che il precedente sistema già gli garantiva, quali:

— esclusione dall’obbligo della tenuta delle scritture contabili;
— non assoggettabilità al fallimento ed alle altre procedure concorsuali in caso di insolvenza.

Tuttavia, il D.L. 98/2011, conv. in L. 111/2011 ha previsto che anche le imprese agricole in stato di insolvenza e di crisi potranno accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti e di transazione fiscale, istituti del diritto fallimentare (artt. 182bis e 182ter L.F.) che fino ad ora erano applicabili solo agli imprenditori commerciali e alle imprese di grandi dimensioni. Il vantaggio riconosciuto agli agricoltori è, quindi, quello di poter raggiungere un accordo con i propri creditori circa le modalità con le quali dovranno essere estinte le obbligazioni e, durante il raggiungimento di tale accordi sono sospese le azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore (es.: sequestro conservativo dei suoi beni) che, di norma, pregiudicano l’attività di impresa (v. anche Cap. 15, par. 2 della presente parte). Da ultimo, il D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012 ha espressamente chiarito che l’imprenditore agricolo può accedere alla procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. 221/2012 (v. Cap. 15, par. 5 della presente parte);

— iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese (L. 580/1993).

L’art. 2 del D.Lgs. 228/2001 conferisce espressamente a tale iscrizione, oltre alle funzioni di certificazione anagrafica ed a quelle previste dalle leggi speciali, l’efficacia di opponibilità ai terzi di cui all’art. 2193 c.c.

L’imprenditore agricolo, pertanto, non è assoggettato allo statuto dell’imprenditore commerciale e la disciplina ad esso relativa è affidata più alla legislazione speciale che alle poche norme contenute nel codice.

Il D.Lgs. 228/2001 ha modificato la nozione codicistica di imprenditore agricolo, non più rigidamente ancorata al rapporto produzione-terra. L’art. 2135 c.c., nella sua attuale formulazione, definisce, al 1° comma, le attività agricole essenziali, e cioè quelle dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali. Il 2° comma specifica che nelle attività suddette vanno ricomprese quelle «dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine».

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 228/2001, la qualifica di imprenditore agricolo viene oggi riconosciuta non solo a coloro che coltivano materialmente il fondo o allevano il bestiame ma anche a chi esercita allevamenti ittici, alle aziende conserviere e casearie, e a chi presta servizi a favore dell’agricoltura.

Agli imprenditori agricoli è poi consentita la vendita al dettaglio di prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende agricole (art. 4, D.Lgs. 228/2001 e successive modificazioni) e può avere per oggetto anche prodotti derivati, ottenuti attraverso attività di manipolazione o trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici.

La qualifica di imprenditore agricolo è, infine, riconosciuta pure ai soci di società di persone esercenti attività agricole (art. 9, D.Lgs. 228/2001).
L’ultimo inciso del comma 1° dell’art. 2135 c.c. attribuisce la qualifica di imprenditore agricolo a chi esercita attività connesse a quelle di coltivazione del fondo, di selvicoltura e allevamento di animali.

Il 3° comma dello stesso articolo, stabilisce che «si intendono comunque connesse»:
— le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano oggetto prodotti prevalentemente ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;
— le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge (ad esempio, l’agriturismo).

L’imprenditore agricolo professionale

Con il D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 il legislatore ha rivisitato la figura dell’imprenditore agricolo, che diviene «professionale» e ottiene il riconoscimento di molte agevolazioni attribuite in passato al solo coltivatore diretto.
Infatti, in base all’art. 1 del D.Lgs. 99/2004 è imprenditore agricolo professionale (Iap) «chi, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., direttamente od in qualità di socio di società di persone o cooperative o di amministratore di società di capitali, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro».

La figura dell’imprenditore agricolo professionale viene dunque a sostituire quella dell’imprenditore agricolo a titolo principale (Iatp), che per anni ha costituito il riferimento adottato in sede comunitaria per stabilire requisiti uniformi tra gli Stati membri al fine di selezionare gli agricoltori alle cui imprese concedere i sostegni previsti.

Il D.Lgs. 99/2004 (come modificato da ultimo dal D.L. 179/2012 – cd. crescita bis – conv. in L. 221/2012) si occupa, inoltre, delle società, prevedendo che le società di persone, cooperative e di capitali sono considerate imprenditori agricoli professionali a condizione che:
— nelle società di persone (società semplice e in nome collettivo) almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita occorre far riferimento ai soci accomandatari;
— nelle società di capitali e nelle società cooperative un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (nelle società cooperative l’amministratore deve essere anche socio).

È opportuno precisare che prima dell’intervento del decreto crescita bis (D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012), il D.Lgs. 99/2004 considerava società agricole soltanto quelle che, nei propri patti o statuti sociali, prevedevano l’esercizio «esclusivo» delle attività agricole indicate dall’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, allevamento di animali e attività connesse) e che avevano integrato, nella propria denominazione e ragione sociale, l’intera locuzione «società agricola».

Tali condizioni, per esempio, non permettevano di affidare a pagamento e in godimento (affitto o locazione) al proprio amministratore un’unità abitativa di proprietà della società, in quanto il ricavo realizzato (affitto), sebbene irrisorio, non era contemplato nell’esercizio «esclusivo» delle attività agricole indicate dal citato art. 2135 c.c.

Il decreto crescita bis, invece, integrando l’art. 2 del D.Lgs. 99/2004 ha previsto che non si considerano «distruttive» dall’esercizio delle attività agricole: la concessione in locazione, comodato o affitto di fabbricati a uso abitativo o strumentale e dei terreni, purché i ricavi ottenuti dalla concessione in godimento siano «marginali» rispetto a quelli realizzati dalla normale attività agricola.

Detta marginalità risulta rispettata quando l’ammontare dei ricavi, relativi alla concessione in godimento delle unità immobiliari e dei terreni, non superi il 10% dell’ammontare complessivo dei ricavi.

Inoltre, in forza delle integrazioni compiute dal D.Lgs. 101/2005, la qualifica di Iap è riconosciuta anche a:

a) soci di società di persone e cooperative, incluse le cooperative di lavoro, che svolgono la loro attività nella società, e che siano in possesso dei seguenti requisiti: competenze e conoscenze professionali in agricoltura; dedichino a tale attività almeno il 50% del proprio tempo di lavoro; ricavino da tale attività almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro;
b) amministratori di società di capitali, che svolgano la loro attività nella società in presenza dei requisiti di cui al punto precedente.

Le società che intendono assumere la veste di «società agricole» devono necessariamente indicare tale termine nella propria denominazione o ragione sociale.

Alle società in possesso della qualifica di Iap sono estese le agevolazioni tributarie per le imposte indirette e quelle creditizie previste dalla normativa vigente a favore dei coltivatori diretti.

L’imprenditore commerciale

Una volta delineato il concetto di imprenditore agricolo, si può definire quello di imprenditore commerciale che comprende, per esclusione, tutte quelle attività non rientranti nell’attività agricola. In particolare, ai sensi dell’art. 2195 c.c., sono imprenditori commerciali coloro che esercitano:

— attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi: è quella attività produttiva di beni o di servizi che richiede un procedimento di trasformazione della materia: ad esempio, le industrie che trasformano le materie prime in prodotti finiti destinati alla vendita e le industrie cd. «estrattive» che producono nuovi «beni» traendoli dalla natura direttamente;
— attività intermediaria nella circolazione dei beni: è quella diretta alla distribuzione dei beni sul mercato;
— attività di trasporto per terra, per acqua, per aria;
— attività bancaria o assicurativa;
— attività ausiliarie delle precedenti, quali ad esempio l’attività dell’agente di commercio; l’attività del mediatore (anche se oggetto ne sono i prodotti agricoli); l’attività dell’agente di pubblicità; l’attività delle agenzie di viaggio etc.

La qualità di imprenditore commerciale si acquista per il solo fatto di esercitare professionalmente un’attività economica di natura non agricola.
Nessun altro adempimento è richiesto in quanto, come vedremo, l’iscrizione nel registro delle imprese ha solo efficacia dichiarativa.

L’imprenditore commerciale è soggetto ad uno specifico regime giuridico, detto appunto statuto dell’imprenditore commerciale, integrativo di quello generale dettato per ogni attività di impresa, dato il maggior rischio che implica l’esercizio di un’impresa commerciale e la maggior esigenza di tutela dei terzi che entrano in contatto con l’impresa stessa. I punti fondamentali di questo statuto riguardano: l’obbligo di tenere le scritture contabili; l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; l’assoggettabilità al fallimento e alle altre procedure concorsuali nelle ipotesi di crisi dell’impresa o di insolvenza dell’imprenditore.